Un matto vicino al confine, un vecchio rifugiato sentimentale. Io sono colui che aspetta la fine. Granello in un oceano di sale. trigpim

domenica 26 febbraio 2012

Vanità

Cassius stropicciava la coccarda sul petto. Il primo del suo corso, fremeva a denti stretti, maniacale nei suoi pensieri. Il viso, sempre serio, anche allora che tutti potevano essere fieri di lui, compiaciuti, sazi: si sente un piatto da portata. Passa una mano sul collo, si rassicura, si dice: "è tutto ok, ora sono bravo, ora vado bene...per tutti".
Suo padre che lo afferra saldamente per le spalle, gli mostra i trofei della famiglia, la gloria, il furore. "Tu non sarai da meno. Vedi questo? Questo l'ho ricevuto alle gare dei cinque colori. Sono stato il primo nelle arti Rosse. Anche il nonno era stato il primo, così come suo padre. E tu sarai il primo anche adesso." Andò via in lacrime, mentre lui sorseggiava un liquore scuro. Non le vide, quelle gocce nascoste, non le aveva viste mai.

La madre, dai suoi occhialetti, gli sorrise con garbo. La sua stanza era ben diversa: buia, estremamente pulita, non che quella del padre non lo fosse, ma lì anche le gambe del tavolo luccicavano. Amava raccontare alla genitrice delle sue vittorie, bramava quegli occhi uncinati su di lui. Bramava i suoi elogi più di ogni altra cosa.
Ne aveva bisogno.

Nella sua stanza, accovacciato sul letto, guardava la porta dello stanzino-armadio. Si stropicciava il viso con le unghie, contorcendo la pelle, scavando solchi selle guance, mordendosi le braccia come un cane rabbioso.
E guardava la porta. La porta. Sapeva benissimo che, dietro di essa, dietro quelle ante scure, sotto vecchie coperte, c'era uno scatolo ammaccato. All'interno vecchie scarpe, un cannocchiale scheggiato, disegni ingialliti e un pupazzo morbido a forma di letrof. Con la mente lo stringeva forte per pochi attimi, per paura di essere scoperto nei suoi stessi pensieri.

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