Un matto vicino al confine, un vecchio rifugiato sentimentale. Io sono colui che aspetta la fine. Granello in un oceano di sale. trigpim

martedì 21 febbraio 2012

Orco

La bettola, di insegna perennemente fulminata, offre riparo ad individui decisamente poco raccomandabili.
Il Branco si fa strada fra i tavoli di legno marcio, sedie piegate sotto il peso di sederi rigonfi e maleodoranti. L'aria che si respira, in generale, non è delle migliori.
Sono solo dei ragazzini. Le mani dell'oste, sostenendo un mento non rasato da giorni (occhi fissi su omini bicolori dentro schermo impolverato, alias partita di calcio), rivelano scarso interesse (Egli sa che la campana non suona più da generazioni, non si chiede in ogni caso il motivo di quella visita).
Trovano l'Orco al tavolo di navata laterale, il tetto a cupola ormai crollato. Marmo, pietra e legno malmontati, uno scranno un tempo ricoperto d'oro, oramai persiste per pura Fede alle intemperie dei tarli, sormontato da carne anch'essa poco chiara, in un corpo che in passato forse sarebbe potuto essere umano. Ma solo perchè i ragazzi fungono da specchio.
Il viso butterato di cicatrici e foruncoli e un grosso naso deforme. Lo chiamano Orco dall'inizio dei tempi: ha un sorriso sghembo alla vista di piccoli propropro...propronipoti.
La sua stazza sovrasta notevolmente persino Orso, e il ragazzo non è certo un fuscello. 
Servi minuti trasportano continuamente vassoi stracolmi delle pietanze più ripugnanti, dall'aspetto solo lontanamente commestibile. Dama ci scommette la sua collezione di penne che quel pesce è andato a male da mesi. L'uomo divora ogni cosa ugualmente, deglutendo a stento, cibandosi di quelle carni putrefatte, oleose, grondanti di umori, con avidità. Se ne compiace, degli sguardi e del suo pasto. Il ventre gonfio di alcol, fermentato all'inverosimile, trasborda da sotto il tavolo come un sacco: dal suo interno provengono mugolii strani, giurano di aver visto qualcosa muoversi, una scia, come un'ombra di squalo nel mare.
Tentacoli e dita, afferrano quella che sembra una fetta di carne cruda sgocciolante sangue sugoso; la ingoia con annessa una mosca ignara ma pare che qualcosa non sia andata per il verso giusto. Il rigurgito verdastro rivela un miscuglio di coralli ed esche vive, insetti delle carogne, tributi all'inferno, piccoli diavoli saltellanti, un boccale d'oro ed una corona di platino. La bocca spalancata è a dir poco enorme: rivela una fila di denti neri come la pece, alcuni mancanti, i più in pezzi, ma sempre aguzzi. 
Si concentra sui ragazzini, accenna un sorriso ma...non può smettere di mangiare. Afferra al volo uno dei serventi, gli strepitii non servono a nulla: la carne si spezza sotto le massicce mascelle, rivelano piccole ossa e muscoletti rosacei. Spreme la testolina fra due dita, le cervella colano sulle unghie sporche: succhia il tutto con ingordigia. 
Non si riconosce più. Ha dimenticato tutto del creare, del donare, del distruggere. Ora decade nella polvere del suo giardino di rottami e lerciume.
Libra esce un fazzolettino dalla tasca e raccatta con un certo senso la corona dalla poltiglia di succhi gastrici ancora non digerita.
Non salutano, non chiedono venia, non si inchinano di fronte l'altare.

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